Faccio arti marziali e sport da combattimento da oltre 36 anni oramai e posso dire che il combattere è una dimensione che conosco, ho esplorato e che continuo a scoprire.
Il modo in cui vivo la mia pratica è cambiato tanto nel corso del tempo.
In questo articolo condividerò con te tre verità sul combattimento che sono risultate vincenti, malgrado riguardino il non cercare di vincere.
Imparare a combattere: tutti (o quasi) iniziamo per i motivi sbagliati.
Ho iniziato a fare arti marziali perché volevo imparare a difendermi e, visto che sono in tema di confessioni, anche perché ero in sovrappeso e volevo dimagrire. So bene che esistono motivi più nobili per iniziare una disciplina di combattimento.
All’epoca non li conoscevo.
Ho trovato grande motivazione nel percorso perché sono rimasto affascinato dall’aspetto tecnico del combattimento.
Mi ha catturato come, con un opportuno addestramento, si potesse avere un effetto leva su caratteristiche come la forza e l’agilità. Avevo uno strumento per auto potenziarmi ma non avevo ben chiaro come dirigerlo.
O meglio: mi sembrava di avere le idee molto chiare ed invece non lo erano affatto.

Il senso reale di volersi migliorare nel combattimento
Che cosa accadde in seguito?
Se da un lato mi sentivo molto meglio fisicamente (ero dimagrito e avevo messo su un po’ di muscoli), continuavo a conservare la sensazione di non aver fatto mai abbastanza.
Volersi migliorare è un atteggiamento ottimo ma il mio non era un “desiderio buono”.
Io non volevo migliorare per me, io volevo migliorare per ottenere qualcosa.
Qualcosa che non era possibile avere.
Senza saperlo ero intrappolato in una logica in cui, al raggiungimento di un obbiettivo, dopo un primo breve momento di appagamento, se ne apriva immediatamente un’altro.
Non era mai abbastanza, non ero mai abbastanza.
Come ho realizzato solo molti anni più tardi, quello che volevo era la certezza di aver completato tutto. Un altro modo per dirlo sarebbe: la sicurezza che nulla avrebbe più potuto sorprendermi o mettermi in difficoltà.
Ho iniziato a fare arti marziali perché volevo sapermi difendere, ho continuato inebriato dalla sensazione che fosse possibile raggiungere questo stato in modo assoluto e poi?
Vorrei poter dire che è arrivato un momento di crisi ma sfortunatamente è stato tutto molto più sfumato e sfibrante.

Il peso di voler vincere sempre
Per molti anni di sperimentazione e studio ho vissuto portandomi appresso un’ombra.
Ciò che facevo non era mai abbastanza, quello che ottenevo non riuscivo a godermelo.
Ogni volta che combattevo l’esito dello scontro determinava lo stato in cui mi sentivo dopo.
Il mio allenamento ed il mio impegno avevano valore solo nella misura in cui avevo ottenuto un risultato esterno.
Solo sinché vincevo tutto andava bene.
Non rinnego questo periodo ma sono molto felice di aver fatto di quest’ombra un alleato.
La chiave che mi ha portato a cambiare questo circolo vizioso in un circolo virtuoso è stato pormi la domanda: perché combatto?
La domanda che ognuno dovrebbe farsi: “Perché combatto?”
Fermo restando che ho già appreso molto di più di quello che potrà mai servirmi in un contesto reale e che qualsiasi cosa faccia non ci sarà mai un momento in cui potrò dirmi perfettamente sicuro, perché continuo ad allenarmi nel combattimento?
La risposta, inizialmente, è stata incerta.
“Perché mi piacciono le sensazioni che provo nell’allenarmi e nel combattere.”
Era vero ma non del tutto.
Quello che mi da la motivazione (tutt’ora!) per allenarmi risiede in questi 3 aspetti.
- Nel piacere che provo nell’usare il mio corpo in modo funzionale;
- nella sfida intellettuale del provare e risolvere situazioni nuove;
- nell’energia caratteriale che il tenermi in allenamento al combattimento mi da nella vita di tutti i giorni.
Questo mi ha portato a realizzare 3 verità sul combattimento:
- Cercare di essere il migliore è un limite al miglioramento;
- Nessun combattimento in palestra o in gara deve essere questione di vita o di morte;
- Se non ti diverti mentre ti alleni e combatti allora è un lavoro. Se è un lavoro, allora, assicurati di essere pagato.

La prima verità sul combattimento: per migliorare non devi essere il migliore
Anche supponendo di essere il migliore in qualcosa, ci sarà sempre, prima o poi, qualcuno migliore di te.
Essere “il migliore” è una condizione statica. Migliorarsi, invece, è una condizione dinamica.
Se cerchi di essere costantemente il migliore farai almeno due errori imperdonabili:
1. Il tuo miglioramento sarà valido sono sino a che è in grado di produrre un risultato in relazione ad una prestazione esterna.
2. La tua motivazione e miglioramento sarà vincolato al giudizio esterno (gare, valutazioni, gradi).
La seconda verità sul combattimento: non è mai questione di vita o di morte
Il processo di apprendimento è, per sua natura, un percorso costellato di errori.
L’ambito del combattimento è un ottimo banco di prova dove, però, se non sono presenti errori, vuol dire solo che l’avversario era molto al di sotto delle nostre capacità.
Puntare a vincere ad ogni costo significa perdersi, in allenamento controllato, la possibilità di esplorare nuove possibilità.
Una mentalità che non propende al rischio e che vede il compagno di sparring come nemico preclude la messa in campo di strumenti nuovi e il loro consolidamento.
Allenarsi al combattimento non è mai questione di vita o di morte perché se lo è, non è allenamento.
La terza verità sul combattimento: divertirsi non è un’opzione
Allenarsi per migliorare, fisicamente e mentalmente, richiede molte energie.
Spesso si pensa che iscriversi ad un corso sia sufficiente. Non è così.
L’allenamento deve essere consapevole e, maggiore il focus su quello che si sta facendo, maggiori sono i risultati. Conseguentemente la motivazione deve essere alta. Considerala come la benzina che ti serve per affrontare un lungo viaggio.
Partire con il serbatoio in riserva non è una buona idea.
Ecco perché l’allenamento e anche il combattimento devono contenere sempre un certo grado di divertimento.
Se quello che fai non ti diverte e ti appassiona, più presto che tardi abbandonerai perdendo quello che, nel frattempo, avevi raggiunto.
In conclusione
Da diversi anni a questa parte questi principi sono quelli che regolano il mio allenamento e lo spirito con cui combatto.
Non sempre sono rose e fiori ma, in media, lo standard e la motivazione che ottengo seguendoli sono sempre molto alti.
D’altronde, se sono durato, oramai, più di 37 anni, nell’allenarmi alle arti marziali, un motivo ci dovrà pur essere.
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